Facciamo un po' di chiarezza su questo tema.
Quante volte hai sentito dire da istruttori e appassionati di cavalli che il cavallo è una Preda e noi siamo dei Predatori? Oppure il cavallo istintivamente ci teme perché ci vede come un predatore, odoriamo da predatori (specie se mangiamo carne) e abbiamo gli occhi frontali come i predatori?
di Andrea Montagnani, Formatore Nazionale di Equitazione Etica
La scienza però dice tutt’altro. Per filogenesi (cioè in base ai caratteri trasmessi attraverso il DNA) noi umani, come del resto gli altri primati, non siamo predatori, ma siamo principalmente animali predati e dunque in tal senso più vicini ai cavalli rispetto ai caratteri istintivi, soprattutto a quello di fuga di fronte ad un predatore. Se pensiamo ad un branco di cani randagi o di lupi che ci si avvicina, oppure ad un leone o altro grande felino, il primo pensiero che ci viene in mente è quello di darcela a gambe e di cercare qualcosa su cui arrampicarci, non certo a difenderci lottando con i denti, sprovvisti peraltro delle caratteristiche zanne (canini, appunto) tipiche dei predatori.
Se vogliamo trovare una classificazione per l’essere umano che lo contraddistingua rispetto al sistema di procacciarsi il cibo, mentre le prede sono prevalentemente erbivore (vedi i cavalli, le gazzelle, gli gnu,...), i predatori in senso stretto sono prevalentemente carnivori, noi umani, come molti altri primati, siamo dei RACCOGLITORI e non dei predatori.
Un gatto è chiaramente un predatore, infatti, sin dalla più tenera età appena scorge una preda muoversi, salta verso di lei e la rincorre: filogeneticamente è attratto dal movimento e durante la giornata cerca e prova piacere nella predazione, anche se non ha scopo di cibarsene. Noi umani no! Di certo non proviamo l’attrazione per il movimento e l’istinto di saltare alla giugulare di una lepre che corre in un prato o di un pesce che vediamo nuotare nel mare. Inoltre, se sentiamo un rumore improvviso dietro un cespuglio, di solito sobbalziamo e istintivamente siamo proiettati alla fuga, anche se razionalmente siamo ben coscienti che dietro il cespuglio non si nasconde un predatore (almeno alle nostre latitudini).
Noi umani, come raccoglitori, fin da piccoli sentiamo il desiderio istintivo di prendere e portare con noi ciò che troviamo e che ci attrae e così da bambini raccogliamo i fiori o le conchiglie, collezioniamo le figurine, i pupazzi, ci riempiamo le camerette di giochi e i cellulari di app e da adulti continuiamo a raccogliere musica, canzoni e fotografie, andiamo ogni weekend a fare shopping oppure nel bosco alla ricerca di funghi, di mirtilli e more. Chi di noi è motivato a uscire di casa il sabato sera e andare a predare?
Qualcuno potrebbe obiettare che esistono persone che amano la caccia o la pesca. In realtà quella che definiamo caccia riferendola all’uomo, non ha nulla a che fare con l’azione di un predatore. Un predatore attacca la sua preda e la uccide con le proprie zanne o artigli che siano. L’essere umano va a raccogliere una preda già morta o in procinto di esserlo. E’ la freccia o la fucilata che la uccide, l’essere umano la raccoglie da terra. E’ il retino o l’amo che acchiappa il pesce che viene così raccolto e portato a casa.
In quanto FRUGIVORI (in qualunque libro di storia antica o religiosa ci descrivono di fatto come tali), ci nutriamo di frutti e semi che appunto vanno raccolti, il nostro apparato visivo si è selezionato per distinguere molto bene il colore verde (frutto acerbo) dal colore giallo e ancor meglio rosso (frutto maturo) che ci attira particolarmente. I predatori/carnivori non hanno questa stessa gamma di capacità visiva e non ce l’hanno neppure gli erbivori.
Per aggiungere qualche altra caratteristica che ci contraddistingue e ci riconduce alla categoria dei raccoglitori, le nostre mani prensili, con il pollice opponibile, e soprattutto le cinque dita mobili aiutano alla raccolta, scelta e discriminazione del cibo; i nostri occhi frontali ci consentono di percepire la distanza degli oggetti da cogliere (basta provare a prendere il bicchiere sul tavolo tenendo un occhio chiuso per capire l’importanza dei campi visivi frontali per un raccoglitore!); proviamo piacere a portare di tutto e di più a casa; gli oggetti di cui ci circondiamo, la maggior parte dei quali superflui alla nostra sopravvivenza, ne sono una prova costante.
Detto ciò, NELL'INTERAZIONE CON I CAVALLI, LA PRESUNTA NATURA DI PREDATORE DEGLI UMANI E’ CLAMOROSAMENTE SMENTITA DAI CAVALLI STESSI. Chiunque abbia avuto la possibilità di incontrare un puledro o un cavallo adulto che non abbia subito traumi o maltrattamenti dall’essere umano, sa benissimo che in lui prevale l’attrazione e la curiosità nei confronti della nostra specie rispetto all’istinto di fuga. Difficilmente un cavallo al pascolo, anche se ha pochissima esperienza di incontro con l’essere umano, fuggirà da lui; è più probabile che gli si rivolga osservandolo attento. Magari c’è una iniziale diffidenza, ma poi prevarrà la curiosità e non è raro osservare anche nei cavalli selvaggi la tendenza ad avvicinare la nostra specie piuttosto che a temerla. Al contrario, mai una zebra avvicinerebbe un leone per curiosità!
Per la nostra storia filogenetica l’affermazione UMANO=PREDATORE non solo non ha senso pensando al rapporto con il cavallo, ma è proprio sbagliata.
Raccogliere è un'attività umana che ci appartiene e che non ostacola per nulla la relazione con i cavalli.
Sono convinto che i cavalli non abbiano questa millantata paura innata dell’umano: i cavalli spaventati sono da ricercarsi fra quelli che hanno avuto esperienze negative, abbiano subito violenza psico-fisica o un addestramento coercitivo che li ha marcati negativamente nei confronti dell’essere umano in genere e non solo di chi abbia perpetrato quelle azioni nei suoi confronti.
Allo stesso modo, ritengo che definire i cavalli esseri viventi che fuggono alla vista dell'uomo sia anch'essa una cattiva informazione.
Detto questo, va comunque evidenziato che alcuni comportamenti, gesti o azioni dell’essere umano possano intimorire o spaventare il cavallo che li interpreta come pericolosi o minacciosi. Non è cioè l’essere umano in quanto tale a intimorire il cavallo, ma il suo agire in quel momento ed in quel contesto. I nostri comportamenti, che come si è visto non sono per nulla legati alla predazione e che nascono da ben altre motivazioni o emozioni, hanno comunque il duplice effetto di poter sia spaventare i cavalli che di renderli curiosi, fiduciosi e collaborativi.
Sarebbe quindi più opportuno che, invece di cercare di diventare ciò che non siamo, etichettandoci e sentendoci come predatori, ci dedicassimo a conoscere meglio noi stessi e i cavalli per rispettarne la diversità di specie ed instaurare con loro una relazione etica, ricercata e voluta da entrambe le parti con reciproco piacere e arricchimento.